Scritti tratti dalla biografia di Fulvio Rinaldi :
( IGNOTUS )
I più significativi
dipinti ad olio di Fulvio Rinaldi
dal 1970 al 2018
‘IL MAESTRO DEMETRIO STEFANOFF’
………………..Il signor Stefanoff che tutti chiamavano ‘il professore’, era svizzero di origine e, accompagnato dalla moglie Annì e dal gatto Pilù veniva, da tempi immemori, a trascorrere l’estate in riviera con il doppio intento di lavorare e godersi l’aria mite dell’Adriatico; aveva in affitto il negozio posizionato accanto a ‘Fotocolor Italia’ e lo usava come mostra di pittura oltre che come studio di ritrattista.
Chiunque entrasse in quel locale era consapevole della stranezza che vi aleggiava, quindi era normale incontrare l’artista che lì viveva senza meravigliarsi più di tanto del suo singolare aspetto.
Egli aveva un viso molto interessante, incorniciato da lunghi capelli lisci e grigiastri che gli giravano sopra la fronte da sinistra a destra formando, all’inizio della curvatura, una riga precisissima, perché si pettinava spesso e con cura. Aveva l’usanza di alzarsi molto presto la mattina per andare in spiaggia dove all’età di quasi ottant’anni si recava per tuffarsi in mare e fare la sua solita nuotata……………….
Tutto questo insieme di cose costituivano il personaggio del ‘professor Stefanoff,’ tutto ciò che in lui sembrava ‘strampalato’ immediatamente aveva un senso quand’egli prendeva posizione davanti al suo cavalletto, la sua postazione di lavoro e allora tutto era chiaro, razionale, giustificato, quel tipo era un pittore!……………….
Nell’estate del 1970 c’era anche un altro pittore che aveva esposto un suo quadro presso la gelateria-frulleria Lo Stregone, si chiamava Fulvio Rinaldi e aveva quindici anni.
Di quell’opera, si è persa ogni traccia, si sa che fu acquistata da un turista, forse di Milano, per 8000 lire e che rappresentava un viso dall’espressione terrorizzata, colto mentre emetteva un grido disperato, con la bocca spalancata dentro la quale spiccava il bianco dei denti e la lingua accartocciata.
Fu con quel quadro che ebbe inizio il ‘periodo macabro’.
‘LA CAMERA OSCURA’
Nel cuore del negozio fotografico di Mario Rinaldi, c’era la ‘camera oscura’; questo luogo misterioso era il regno di Francesco detto ‘Checco’, lo zio di Fulvio.
Quando si entrava nella camera oscura con ancora la luce del sole negli occhi, si poteva capire cosa vuol dire essere ciechi, perché non si vedeva assolutamente nulla e solo dopo qualche minuto, stazionando lì, cominciavano a prendere forma alcune cose, perché erano illuminate da una fioca luce rossa, l’unica capace di non danneggiare le stampe. Questa, a poco a poco, faceva stagliare dal fondo buio i profili dei due ingranditori, uno molto grande e l’altro più piccolo, che servivano per proiettare l’immagine capovolta del negativo sul foglio di carta fotosensibile, che Checco metteva sotto il raggio luminoso per un tempo ben definito e studiato a secondo di quanto chiaro o scuro fosse il negativo.
Così emergevano sotto gli ingranditori immagini capovolte di ogni genere che, come scaturite da una lampada magica, rischiaravano quell’ambiente con il loro tenue bagliore, evocando misteri e magie.
Fulvio che spesso faceva compagnia allo zio in camera oscura mentre lavorava, osservando l’arte della stampa fotografica, colse l’essenza di tutto quel processo generato dalla luce ed elaborò, col tempo, per l’esattezza dal 1973, il periodo ‘spirituale’.
In queste opere l’immagine, vista come se proiettata dall’ingranditore, non è illuminata ma emette essa stessa la luce.
Questo primo processo aprirà la strada, negli anni a venire dal 1976 in poi, ai quadri al negativo.
‘ IL PERIODO SPIRITUALE’
……..Tornato in Italia, nel 1973 Fulvio che già aveva dato inizio, prima di quel viaggio al periodo spirituale, si dedicò all’approfondimento di quel metodo espressivo elaborando una pittura dove il soggetto emana luce propria.
Questa idea profondamente sentita dall’artista, si sviluppò in vari modi; dapprima, come nel quadro ‘vasetto con foglie gialle’, la luminosità si diffonde nell’aria, partendo dal soggetto, con sfumature degradanti; poi è il soggetto stesso a divenire completamente giallo, come una fiamma di candela che propaga la sua energia luminosa nello spazio circostante, come nel grande pannello dei ‘bagnanti che giocano a palla’ dove, nella seconda versione, le figure, rincorrendosi, lasciano come della scie lucenti, o nell’Autoritratto con pennello‘.
Per accentuare la divinizzazione dei soggetti e la loro immaterialità, in alcune opere come ’Natura morta con forme spirituali o il ‘Grande tavolo con vasellame’, toglie ai soggetti il loro effetto di gravità, facendoli fluttuare nell’aria o, sempre rigorosamente di colore giallo brillante, li fa inclinare, li piega anche in modo innaturale facendoli aleggiare sopra la superficie del piano d’appoggio.
Successivamente, questa sua personalissima ricerca, si manifesta con dei raggi gialli che simulano l’emanazione della luce, come nei quadri ‘Adolescente seduto’ o ‘Tetti visti dall’alto’ (opere di cui si è persa ogni traccia). Comunque il quadro più rappresentativo di questo periodo della ricerca di Fulvio e anche il più grande di dimensioni è ‘Il trombettista’, dove l’emissione di raggi luminosi concorre anche a dare grande espressività e forza al soggetto così che questi, soffiando nello strumento, sembra promanare energia. Infine l’idea della luce che scaturisce dall’interno del soggetto dà vita a dipinti dove la luminosità sembra emergere dal più profondo della figura, tanto che questa appare più scura là dove ha più massa corporea e più chiara dove vi sono cavità, come nella serie di nudi visti di schiena o negli oggetti, anche i più umili, come ‘Cesta di vimini’ o ‘La mia scarpa sinistra’, che sembrano divinizzati da questo modo di vedere le cose.
Questa idea dell’illusione dello spessore corporeo dato da una illuminazione interiore, ha portato all’esecuzione di numerosi studi che caratterizzano questo periodo che si concluderà nel 1976 con il grande pannello ‘Famiglia al mare’.
’LA REALTA ‘ OGGETTIVA’
Nell’anno 1973, unitamente ai dipinti del periodo spirituale, Fulvio iniziò a pitturare copiando dal vero, dando inizio ad una procedura che non abbandonò mai e che alternerà alle altre varie ricerche pittoriche che sperimenterà nel corso di tutta la sua vita.
‘LO STUDIO IN VIA FRATELLI CERVI’
A soli 21 anni, conclusa l’esperienza della sua prima mostra personale presso la galleria ‘Leonardi’ a Rimini, Rinaldi si rese conto di non poter più lavorare a casa; improvvisamente lo spazio della cameretta che divideva con il fratello più piccolo, Antonello, si era come rimpicciolito, decisamente insufficiente a far fronte ai suoi bisogni di dipingere su tele molto più grandi rispetto a quelle che eseguiva in passato. Così con l’aiuto dei suoi genitori prese in affitto uno studio in paese a Riccione.
In realtà questo ambiente era un monolocale, illuminato da una grande vetrina e una porta a vetro che si affacciava proprio sulla via principale del quartiere antico di Riccione, la via Fratelli Cervi.
Era un ambiente abbastanza vasto, entrando si poteva scorgere subito a destra una finestrella con le grate e di fronte un piccolo lavandino, il tutto inondato dalla luce che attraverso la vetrata irrompeva all’interno e che lo rendeva un luogo ideale per dipingere.
In questo studio nacquero le prime opere al negativo monocromo, questa definizione prende le sue origini dall’utilizzo di poche varietà di colore, il viola e il giallo, impastati in innumerevoli variazioni tonali, la scelta dell’uso limitato di colori era dovuta principalmente a voler concentrare l’attenzione dello spettatore sulla ricerca dell’effetto ‘contrario’ che questi quadri offrono e sul ribaltamento del colore. Rappresentando in questo periodo principalmente la figura umana, il colore dominante era l’incarnato, quindi il duo opposto risultava essere principalmente il viola.
Questo colore tra l’altro si addiceva anche allo stato d’animo del pittore in quel particolare momento della sua vita, poichè egli sicuramente si rendeva conto appieno di avere intrapreso un modo di dipingere che difficilmente avrebbe incontrato il favore della gente comune. Si sentiva profondamente isolato e solo ed era per lui motivo di grande tristezza vedere le persone passare davanti alla vetrina dove aveva esposto i suoi lavori, senza che queste neppure alzassero lo sguardo per sbirciare incuriosite quei quadri insoliti.
Solo poche persone, nel corso degli anni in cui Rinaldi lavorò in quel negozio, gli dimostrarono il loro interesse.
Quella condizione influì notevolmente sul carattere a volte tetro delle produzioni di quel periodo, sulla tristezza che evocano, non solo per la scelta cromatica, ma anche per la trasfigurazione che subiscono i personaggi ritratti, a causa dell’effetto del ‘negativo’; per esempio essi ridono ma i loro denti sono neri, i loro occhi da neri quali sono nella realtà, diventano fluorescenti, come quelli dei gatti di notte per intenderci, conferendo alle figure un aspetto tragico/triste come se fossero morti, come se fossero anche qui fantasmi.
Il concetto si ripete e come nel periodo macabro il soprannaturale e quindi tutto ciò che per i più è sgradevole, prende il posto della realtà, della bellezza, della natura. La tragicità della morte sovrasta l’effimera allegria della vita.
’IL NEGATIVO POLICROMO’
……….Fin dai primi mesi del 1980, i lavori di Rinaldi cambiano e i colori irrompono nelle sue tele al negativo, nascono quadri più sereni, dove si percepisce il ritorno della gioia di vivere.
Il grande pannello ‘Tre nudi in un interno sentenzia la fine del periodo del ‘negativo monocromo’ e da il via al ‘negativo policromo’.