La Pittura di Fulvio Rinaldi
Oggi nella pittura c’è un sottobosco terribile, soffocante: chiunque prenda in mano un pennello o una matita si ritiene un artista, o addirittura un grande artista, senza sapere neppure perché dipinge o come lo fa o per che cosa.
Questo giovane invece sa già che cosa vuole: vuole “Spiritualizzare la materia”, o almeno la sua materia pittorica, io credo.
Questa coscienza di quanto fa è già una premessa promettente.
Ma il fatto rilevante, nell’arte, lo sappiamo, non è tanto l’intenzione o il fine che si cerca di perseguire, quanto il risultato che si ottiene e come un dato discorso viene attuato attraverso il mezzo specifico, che per la pittura non può che essere il linguaggio dei colori.
Ora si tratta di vedere come il “medium” pittura di Rinaldi Fulvio ha cercato di impostare il suo messaggio, ha cercato di spiritualizzare la materia o, se vogliamo, la vita che ha inteso rappresentare.
Fulvio ha solo ventunanni: dipinge da dieci anni; la sua versatilità e la sua ricchezza di inventiva lo hanno portato a modi o maniere diverse e differenziate di far pittura. Basterà rifarsi alle tre ultime forme di ricerca con le quali è nata in lui la consapevolezza di voler o dover dire qualcosa di personale e di specifico.
Il primo di questi tre modi di ricerca si esplica attraverso un’invenzione molto ricca su colori ocra e celeste, con sprazzi di giallo Napoli; in un paesaggio da fantasia onirica, solcato da lampi, si accampa un’immagine “aeriforme”. Questa sembra trasfondersi nell’aria, variandone appena la gradazione giallo-celeste e conservando, pur senza averne i tratti, l’essenza o meglio il senso della figura umana.
La seconda maniera del giovanissimo pittore, in cui c’è (dichiarato da lui stesso) un vago “risentimento” rembrandtiano, questo “smaterializzarsi della materia”, avviene attraverso la luce, la luce di un giallo indiano predominante sul celeste e sull’ocra d’oro, come nel bellissimo quadro “Gioco alla palla sulla spiagia” e nell’altrettanto bella “Natura morta con forme spirituali”. Ancora più evidenziata, resa fulgente dai colori luminosi, è l’evanescenza delle immagini di cui ho parlato; con ancora maggiore potenza e coscienza espressiva le immagini tendono a svanire pur conservando tutta la loro essenza di vita e di espressione.
Affinità col giovane Picasso si ritrovano nella terza maniera che contraddistingue la ricerca dell’artista, affinità dichiarate e nel contempo smentite dal pittore stesso. Questo per due ragioni essenziali: perché i moduli di ricerca, pur muovendo su un filone simile o assimilabile, si diversificano a volte abbastanza nettamente e perché il manierismo picassiano viene rovesciato in espressionismo, che gioca con il rapporto invertito della luce con la figura e gli oggetti: da questi, anziché a questi. Nei dipinti di tale ultima maniera l’accorgimento inventivo di “spiritualizzare l’immagine”, su una gamma coloristica che va dall’arancione al giallo-azzurro, al rosso inglese predominanti, parte dalla resa in negativo (una resa felice) dell’immagine stessa, come nella “Maternità”, per giungere alle disposizioni radiali della luce contenute attorno alla figura “Adolescente con anfora”, o alla proiezione dei raggi luminosi attraverso o sopra l’immagine, arrivando alla luce concentrata nel corpo, come in “Coppia allacciata” e alla riproduzione della realtà secondo una interpretazione singolare, che ritengo originalissima, dell’interdipendenza tra figura, volume e luce, come nel grande pannello “Famiglia al mare”.
Negli ultimi due pannelli, come Fulvio tiene a chiarire, la luce non è più nel cielo, come nel primo Picasso, ma è tutta attorno e dentro le immagini. E’ come levitante dai corpi in negativo e veste e calza le figure sprigionandosi dall’interno di esse. Promanata dai volumi, compressa nelle fasce muscolari dei corpi maschili, che danno l’impressione di una potenza e di una forza raggrumate, esplosive, come interiori.
Rimini, 1.4.1977 GASTONE MAINARDI
